“Sono Anna Maria, donatrice e medico, nella vita precedente ero pure un gastroenterologo. Poi è partito l’incubo Covid. Dal 2 marzo ha rappresentato il mio impegno costante.” 

Ho visto gente stare malissimo, ho stretto mani, ho consolato, ho pianto, ho riso e fatto i salti di gioia se il tampone era negativo. Ho visto situazioni e dinamiche familiari molto difficili. Ho “inventato” il sacchetto per coprire il tagliandino delle sacche di sangue, per fare in modo che questo non si contaminasse nella camera dei pazienti positivi. Si, perché nella mia unità operativa sono anche la responsabile per il buon uso del sangue.

Nel periodo di fase 1 dell’emergenza sanitaria mi è stato vivamente sconsigliato di donare sangue, per la sicurezza di tutti gli altri donatori e del personale sanitario, perciò sono stata ferma tutto il periodo del lockdown, finché finalmente il 15 giugno ho ricominciato a donare. 

Dono sangue da un sacco di anni, ero al primo anno di università quando ho iniziato. Ho cominciato per tradizione di famiglia e perché donare mi è sembrato il modo più semplice per iniziare a salvare vite umane. Nel marasma del COVID questo piccolo grande gesto mi è sembrato ancora più bello. Quando spiego ad un paziente che ha bisogno di una trasfusione e lo invito a firmare il consenso, ho un fremito di orgoglio perché posso dire con certezza che il sangue che riceverà è sicuro, che tutti i controlli sono fatti a regola d’arte e che sono certa di quello che dico perché anch’io dono sangue. Allora gente cosa aspettate a diventare donatori regolari?

Grazie ad Anna Maria, che ha condiviso la sua preziosa storia con noi. Se volete fare come lei, scriveteci a comunicazione.bologna.prov@avis.it


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