Delia Maria è una donna con tanta energia, un sorriso contagioso e chiacchiera volentieri . La incontriamo un venerdì mattina di novembre, dopo che ha donato plasma.
Sono Delia, amo le moto, faccio subacquea e da poco mi sono messa in proprio. Sono giornalista e personal trainer. La mia missione è riuscire a far sentire bene le persone attraverso il proprio corpo, sono una grande sostenitrice del detto mens sana in corpore sana! La salute e il benessere per me sono fondamentali: puoi avere tutti i soldi del mondo ma se non stai bene non te li godi! L’ho sperimentate sulla mia pelle. Mi è capitato di dover mettere tutto da parte, perché delle persone molto vicine a me hanno avuto dei problemi di salute. E quando capitano certe cose, capisci che tutto il resto è proprio piccolo, irrisorio, insignificante.
Tutto è iniziato quando ero ancora piuttosto giovane: a mia mamma hanno diagnosticato un tumore quando ormai era in stato avanzato. I medici non avevano capito quello che stava succedendo, si concentravano sul polmone in cui avevano trovato una macchia. La macchia sembrava restare lì immobile, ma in realtà mandava in giro le cellule maligne per tutto il corpo. Per cui quando se ne sono accorti si era già tramutato in un tumore osseo e aveva già colpito parte delle ossa craniche, oltre ad aver già mangiato una parte ossea del rachide cervicale. Per questo soffriva tantissimo, aveva sempre forti dolori alla testa e alla schiena.
Quanti anni avevi quando tua mamma si è ammalata?
Io avevo 28 anni, ero la più grande fra i miei fratelli, quindi mi sono dovuta assumere l’incarico di tutto. A me davano tutte le informazioni sulla sua malattia, mentre a loro no perché volevamo proteggerli. Quando mia mamma andava dal medico di famiglia per i fortissimi dolori, lui le diceva che era una cosa psicologica perchè aveva il peso della famiglia sulle spalle ed era stressata.
Come medicina le dava una crema al peperoncino da spalmare sulla schiena con dei guanti sennò ci ustionavamo…per lei era acqua fresca ovviamente! Per fortuna a un certo punto ci siamo rivolti ad un caro amico che fa il neurologo all’Ospedale di Padova e lui ha capito subito che c’era qualcosa di grave che non andava. Prescrisse una serie di analisi da fare in vista della prima visita e nel giro di una settimana la ricoverarono d’urgenza. Erano mesi e mesi che mia mamma non dormiva per il dolore e, dopo il primo ciclo di chemioterapia, l’andai a trovare in ospedale e la trovai stranamente sorridente. Mi disse: “finalmente sono riuscita a dormire”. Dopo il quarto ciclo di chemio, mamma aveva le difese immunitarie sotto i tacchi, i globuli rossi che si trovavano con la lente d’ingrandimento, era uno straccio.
Fu allora che capii quanto fosse importante avere a disposizione una risorsa come il sangue. Anche se aveva una paura folle dell’ago, acconsentì e le fecero la trasfusione. E nel giro di un giorno tornò in forze. Sembrava un fiore appassito che, dopo tanto tempo, grazie a un’acqua miracolosa, era diventato tutto bello rigoglioso! E da allora il mio obiettivo è stato diventare donatrice. Perché donare sangue aiuta in modo molto democratico, tu doni il sangue e sei contenta del fatto che una parte di te possa aiutare a prescindere da chi sei tu e da dove vieni, qualcuno di cui non sai e non saprai mai nulla. E questo ti da una grande forza, ti fa anche sentire un po’ speciale. Con il mio sangue, con qualcosa che creo io posso aiutare gli altri. È un dono. Sono contentissima della scelta che ho fatto.
Da quanto tempo doni?
In realtà da poco, da un anno circa. Non perché non volessi, ma perché ho sofferto di gravi problemi di salute. Ho sofferto di anoressia, quindi pesavo davvero poco. Quando mi sono informata anni fa per diventare donatrice, mi dissero che dovevo superare i 50 kg. Così mi sono impegnata tanto, ho sconfitto questa brutta compagna e appena ho superato la soglia dei 50 kg mi sono presentata in Avis!
In che modo la tua professione e la tua passione per lo sport hanno influenzato il tuo percorso di guarigione?
Nel periodo in cui sono stata malata di anoressia, il fatto che fossi una sportiva ha fatto in modo che utilizzando sempre i muscoli, le mie ossa si iper-compensassero, quindi non ho sofferto di osteoporosi. In qualche modo il corpo così si è autotutelato proprio grazie all’attività fisica. In situazioni in cui si soffre di disturbi del comportamento alimentare può essere molto utile fare pesi, perché si può vedere sulla propria pelle come aumentare di peso non voglia dire diventare brutti, anzi se aumenti la tua massa muscolare modelli il corpo e alla fine riesci ad accettare anche i tuoi difetti. E anche dal punto di vista psicologico ti aiuta a sfogarti e stare meglio. Come immagino succeda a tutti, in quel periodo in ufficio vivevo situazioni piuttosto stressanti e se non avessi avuto l’attività fisica come valvola di sfogo, sarei tornata a casa la sera da mio marito inviperita e invece di dargli un bacio l’avrei avvelenato!
Quale consiglio daresti alle persone che si ritrovano a scontrarsi con un disturbo del comportamento alimentare?
Quando una persona soffre di disturbi del comportamento alimentare e arriva ad essere davvero sottopeso o a soffrire gravemente di bulimia, è inutile dirle in continuazione “devi mangiare di più”. È fondamentale affidarsi a un medico specializzato in scienze dell’alimentazione. In questo, la dottoressa che mi ha seguito è stata davvero di grande aiuto. Infatti, se non mi fosse stata vicina nella quotidianità, non so se ce l’avrei fatta! All’inizio è stato un lavoro duro. Andavo alle visite, mi diceva cosa dovevo fare, mi sembrava tutto chiaro, ma poi mi trovavo da sola al supermercato a fare la spesa ed entravo in crisi. Avevo paura di quello che dovevo comprare, allora le mandavo un messaggino e lei costantemente mi rispondeva subito. Ed è stato fondamentale: il segreto per farcela è avere una persona competente vicino, proprio quando si è così deboli.
“È stata una lotta lunga e adesso dire sono una donatrice mi dà soddisfazione, perché sto bene… sono sana e ho la possibilità di monitorare la mia salute sana anche attraverso le donazioni”
Delia
È stata una lotta lunga e adesso dire sono una donatrice mi dà soddisfazione, perché sto bene… sono sana e ho la possibilità di monitorare la mia salute sana anche attraverso le donazioni. Così, grazie alle donazioni sono anche controllata. Perché una delle cose che mi ha ferito di più nella mia vita è stata la noncuranza con cui hanno trattato il caso di mia madre. Se avesse donato si sarebbero in fretta accorti che qualcosa non andava. Donare sangue o plasma ti costringe a una certa costanza e ti responsabilizza. Sono portata a seguire uno stile di vita sano, soprattutto in prossimità delle donazioni. Così, per il senso di responsabilità verso gli altri, divento responsabile anche verso me stessa!
E per noi donne, fare questo ragionamento spesso è difficile, perché facciamo fatica a dirci “Sai che c’è? Adesso mi ritaglio un momento per me stessa!”. Forse perché per la nostra cultura siamo sempre noi a dover dare, a doverci sacrificare. Tante donne mi dicono “vorrei, vorrei, ma non riesco a trovare un’ora per venire in palestra”. E io a tutte loro dico: “se non riesci a trovare il tempo per venire un’ora in palestra, il problema non è che non riesci a venire in palestra, il problema è che non riesci a trovare tempo per te stessa!”
Dobbiamo trovare il tempo per noi stessi! Perché ne va proprio della nostra salute e della nostra felicità! La nostra prima responsabilità è voler bene a noi stessi. Se non sei felice e appagata, come fai a poter sostenere gli altri?!
Io ho fatto fatica perché mia mamma era quella che si sacrificava più di tutti, quindi non avevo un esempio di persona che si voleva bene. Di conseguenza, quando ho iniziato a soffrire di anoressia mentre mia mamma combatteva contro la malattia, per me non stare bene era quasi più normale che stare bene. Pensavo: “se sto male io e sopravvivo allora anche lei che sta male può sopravvivere”. Ma questo sistema a lungo termine non funziona, perché a un certo punto il nostro corpo ci da dei segnali che ci fanno capire che non possiamo farcela.
Che consiglio daresti alle persone che si trovano a dover affrontare una malattia così difficile ma anche le sensazioni legate all’iper-responsabilizzazione?
Innanzitutto di non vergognarsi a chiedere aiuto. Perché io ho vissuto due storie molto importanti: una con mia mamma e una con mio marito. Col fatto che la mia famiglia è di origine veneta, mia mamma è stata seguita in Veneto e là nel 2001 l’ANT non era ancora molto presente. Così io mi sono trovata praticamente da sola con i miei fratelli, non ho avuto nessun tipo di supporto psicologico. Invece, più di recente qui a Bologna ho vissuto un’esperienza simile a causa della malattia di mio marito, che fortunatamente 4 anni fa è guarito da un tumore. Qui sono stata aiutata, perché ho deciso di chiedere aiuto. Inizialmente le attenzioni erano concentrate giustamente su di lui, ma non bisogna dimenticarsi che anche i familiari che si fanno carico della persona malata sono fragili. La prima volta che sono andata all’ANT e ho parlato con uno dei loro addetti, gli ho raccontato tutta la situazione e sono rimasta spiazzata quando mi ha chiesto “E tu come stai?”. Sono rimasta basita e poi sono scoppiata a piangere, perché era la prima persona che si interessava a me! Bisogna avere l’umiltà di chiedere aiuto, anche per le piccole cose. Non per forza a parenti e amici, ma anche a strutture dedicate.
E a tutti dico: non rinunciate mai al dialogo con la persona che sta male, perché a volte fa arrabbiare, perché magari non riesce a fare quello che le viene chiesto per stare meglio. Ma dialogando e puntando alla comprensione reciproca, si riesce a vivere meglio anche le situazioni più difficili. Infine, non dimenticatevi di voi stessi. Non dimenticatevi di prendervi un’ora al giorno, per staccare da tutto e tutti. Abbandonando i sensi di colpa, perché non portano da nessuna parte.
È lo stesso legame che c’è tra le persone che donano e ricevono il sangue! Aiutando te stessa aiuti gli altri, aiutando gli altri aiuti te stessa. È un circolo che ti rafforza perché ti fa sentire bene. Consiglierei quindi a tutti quelli che lo possono fare di donare, perché hanno un regalo immenso. Il sangue non si compra in farmacia ed è una cosa che può veramente salvare la vita. O anche solo migliorare la qualità di vita di tante persone. Perché sì, anche se mia mamma non è guarita, dopo ogni trasfusione la vedevo sorridere e rinascere. Dopo le sue trasfusioni mi sono chiesta: “Ma se non avessimo avuto quel sangue lì, cosa sarebbe successo?”. Questo ti fa capire proprio quanto sia importante riuscire ad avere a disposizione una risorsa così grande.
Volevo concludere facendo un appello a chi ha paura dell’ago. Io ogni volta che vengo a donare mi sento davvero coccolata, le infermiere sono veramente strepitose, sono talmente brave che non sento nulla quando l’ago entra nel braccio. Quando l’ago deve entrare in vena, puoi girarti dall’altra parte! Io lo faccio, mi dico: “se guardo porta sfortuna!”. Finché non provi, la paura non la superi di certo. Solo affrontando direttamente le paure, riusciamo a sfondarle!
BRAVISSIMA E COMPLIMENTI E ONORATO DI ESSERE TUO COLLEGA DONATORE E BUON WEEK END A TUTTI I DONATORI E TUTTE AVIS DEL MONDO E ADVSSEMPRE MONDO
Bellissimo racconto !
Mi sono molto emozionato
Grazie mille Pietro! Anche noi ci siamo emozionati nell’intervistare Delia…La sua è una storia di grande forza d’animo e siamo onorati di averla tra i componenti della nostra grande famiglia di donatori!
Cara Delia, sei fantastica! Hai dato il meglio di te in situazioni davvero difficili e hai imparato dai momenti di avversità. Vivi in prima persona e aiuti tutt* noi senza nasconderti dietro a ragionamenti di comodo. Dietro ai quali in molti ci nascondiamo (tipo paura dell’ago o altro, come ben scrivi tu). Sei una forza e sei di esempio.